domenica 7 ottobre 2012

Assaggiare il nero


<<Sonno. Queste piccole porzioni di morte.
Quanto le odio.>>
Edgar Allan Poe

Warren Zevon è una rockstar. Debuttò sulla scena musicale nel 1969, ma il successo arrivò per lui solo dieci anni dopo.
Il disco con cui si rese noto al pubblico si chiamava Warren Zevon.
La traccia del disco Warren Zevon, della rockstar Warren Zevon, che ebbe maggior successo si chiama I'll sleep when I'm Dead.
La radio questo non lo sa. La radio è una macchina. Sta ferma, riflette la luce della lampada da tavolo come il guscio di un coleottero. Un insetto di plastica nera con le viscere di rame. La radio ronza senza comprendere
So much to do, 
there's plenty on the farm
I'll sleep when I'm dead
Saturday night I like to raise a little harm
I'll sleep when I'm dead 
La mano, quella è viva. Ha i gesti misurati del ragno. Prende la carta di giornale, una singola striscia, la solleva fino alla scodella. Quella finisce quasi del tutto in una mistura di acqua, gesso, colla. Beve, viene tirata su.
Dalla striscia, la mucillagine goccia pigramente nella scodella. La mano si scuote, sembra tenere un pesciolino appena pescato. Applica la striscia ancora umida, ci preme sopra la stecca di un ghiacciolo. Il legno rimane incollato.
Lei si chiama Kristen Parker. Il volto tracciato dalla penombra racconta sedici anni di bellezza nordamericana. L'oscurità lo lambisce appena, si ritira dietro l'attaccatura dei capelli senza sfiorare la curva morbida degli zigomi.
Il buio conosce altre vie, e le si è insinuato dentro la nuca. Ha premuto, sin ad arrivare dall'altra parte, scavandole un fossato di occhiaie che inghiotte il bianco della pelle. Nel pozzo fondo delle iridi la luce ha poco più che un guizzo.
Tutto il resto, dalle spalle in giù, è immerso nella vestaglia. Il cotone le cade addosso come il silenzio della stanza, indifferente alle parole di Warren Zevon.
La stanchezza è un'infezione che le fa girare la testa. Non la sta ammaliando, non le lancia la risata suadente dall'altra parte del corridoio della coscienza. Le tira giù la fronte in un anelito disperato.
Dormi.
Non può. Con sforzo titanico solleva la volta dei sogni che le preme sul cranio. Serve più rumore, abbastanza da coprire i pensieri. Ruota la manopola del volume sulla radio, e il suono brulica su ogni cosa.
Well, I take this medicine as prescribed
I'll sleep when I'm dead
It don't matter if I get a little tired
I'll sleep when I'm dead
Può prepararsi da sola il tempo di cui ha bisogno. Eccola, la medicina. Il cucchiaino che tintinna in un barattolo di caffè, uno sfarinarsi amaro sulla lingua. Diet Coke, un sorso, tutto viene trascinato giù con un singulto. Lo zucchero le brucia la gola: nero su nero che scivola dove il corpo abbandona la luce. Giù per lo stomaco cieco la mistura di Galeno.
Un'altra striscia di carta si appiccica accanto alla precedente.
Gioca a braccio di ferro con sé stessa. Il sonno rimonta in una marea che si infrange dietro gli occhi semichiusi. Non adesso. Nessun dubbio amletico, morire o dormire: qui la simmetria dei termini è così perfetta da darle i brividi.
La porta della stanza si apre, e come ad un segnale a teatro ogni comparsa decide di ritirarsi dietro le quinte. Il buio, il sonno, ogni cosa fluttua in un punto della stanza lontano da lei, come a volersi rendere estranea ai fatti. Non c'è niente: solo una ragazza in vestaglia seduta al tavolo.
Soltanto la radio continua a gracidare stupidamente
I'll sleep when I'm dead
So much to do, there's plenty on the farm
I'll sleep when I'm dead
Saturday night I like to raise a little harm
I'll sleep when...
Elaine Parker spegne la radio con uno scatto rabbioso del polso. Warren Zevon tace.
Lei si erge altera. Il frutto maturo della femminilità, dipinto di seta blu. Il tessuto le carezza i fianchi, è una lingua audace che dal seno le sfiora le caviglie.
“Ma sei matta? Sveglierai tutto il vicinato!”
Kristen fa finta di non sentire, o forse non sente davvero. I suoni e il loro significato arrivano in tempi diversi. Gli occhi sono tizzoni.
“Ciao mamma”
“Non mi ciaomammare. Che ci fai ancora in piedi? Sono le una passate”
Se c'è una virtù innata ad ogni figlio adolescente, è la lusinga. Far leva sul punto più debole.
“Pensavo di aspettarti”
L'istinto materno ammorbidisce i tratti del volto “Beh, adesso sono a casa, così puoi andartene dritta a dormire. Forza, angelo”.
Nessun angelo, dove il buio è più profondo del cosmo in cui si dice abbia sede il regno dei cieli. Meglio un'altra bugia.
“È tutto okay, davvero. Non sono stanca”.
Elaine taccheggia  fino al letto, scosta la coperta da sotto i cuscini
“Kristen, non incominciare. Lo sai quello che ha detto il tuo strizzacervelli...” sospira.
“È pieno di stronzate” si imbroncia lei.
Elaine rimane in piedi accanto al letto “Non ho intenzione di lasciarmi coinvolgere in una discussione con te, dannazione. Non stanotte. Adesso mettiti a letto”.
Mettersi a discutere? Per cosa, poi? Kristen stessa non riesce ad afferrare bene quello che vorrebbe spiegarle. Il materasso la accoglie carico di promesse. Elaine va verso la porta, avvicina l'indice all'interruttore della luce.
Dal fondo della stanza giunge una flebile supplica
“Mamma! Faccio ancora quei sogni orribili!”

Piccola nota a margine.
Quando il gruppo trash-metal Pantera realizzò uno dei suoi brani più famosi, Five Minutes Alone, il batterista della band, Vinnie Paul, spiegò in un'intervista da dove fosse venuta l'intuizione che aveva fatto nascere il pezzo.
Durante un live in California il cantante del gruppo, Phil Anselmo, aveva avuto una lite con un ragazzo del pubblico, e all'uscita del concerto, il padre del giovanotto aveva detto che se avesse avuto cinque minuti da passare da solo con lui gli avrebbe spaccato la faccia.
Per tutta risposta Phil Anselmo aveva detto che se lui avesse avuto cinque minuti da passare da solo con l'uomo, avrebbe dato fondo ad una serie di indicibili torture che aveva in mente per quello stronzo borioso. Dagli insulti che si erano lanciati aveva preso vita il pezzo.
Le cose non stanno così.
Phil Anselmo era un eroinomane ed un alcolizzato. Dopo un concerto andò in overdose, e fu solo grazie ad un tempestivo intervento dei medici del suo staff che riuscì a sopravvivere, ma per cinque minuti, il suo cuore e il suo cervello si fermarono completamente.
Non fu esattamente come dormire: Phil sprofondò in un luogo che era più in là del sonno, mosse i passi oltre una linea di confine che separa il nostro mondo da un altro, dove non c'è spazio nemmeno per la mente. Era rimasto cinque minuti da solo. Da solo per davvero.
Era lì che Kristen avrebbe voluto rifugiarsi.
Ma la nostra storia ha luogo nel 1987, Phil Anselmo è appena entrato a far parte del gruppo di Arlington. E tutto questo, Kristen non può saperlo.

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